La Corte di Giustizia dell’UE è chiamata a dare una risposta alla questione sollevata dal titolo di questo post: si può usare la dicitura “Sorbetto allo Champagne”, anzi “Champagner Sorbet” se in quel sorbetto c’è solo il 12% di Vino di Champagne?
La risposta può sembrare materia per tecnici, ma, in realtà, ha a che fare con le nostre scelte di consumatori e, dunque, con la vita di tutti i giorni.
Spesso ci troviamo di fronte ad un prodotto elaborato che – ci viene detto – contenga un prodotto contraddistinto da una DOP. Ci capita, ad esempio, quando siamo in gelateria e possiamo scegliere tra un gelato al gusto di pistacchio di un paese dell’Etna e un gelato al gusto di nocciola piemontese. Ci capita quando siamo al ristorante e possiamo scegliere tra una pasta con agnello di Sardegna o una con Gorgonzola.
Come consumatori dobbiamo solo fidarci o potremmo pretendere qualcosa di più? I produttori delle DOP sono d’accordo con questi usi? Potrebbero vietare questa pratica anche se il prodotto che viene offerto contenesse effettivamente quella DOP oppure possono farlo solo se la quantità è troppo modesta o se le modalità di offerta non sono compatibili con il disciplinare della DOP in questione?
Per questo è interessante leggere le conclusioni dell’Avvocato Generale M. Campos SÁNCHEZ-BORDONA della Corte di Giustizia dell’UE che lo scorso 20 Luglio ’17 ha presentato le proprie Conclusioni nella Causa C‑393/16 che vede, da una parte, il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (l’associazione che riunisce i produttori di Vin de Champagne) e, dall’altra parte, la nota catena di supermercati Aldi (segnatamente la Aldi Süd Dienstleistungs-GmbH & Co.OHG) e il produttore del sorbetto allo champagne Galana NV.
Le conclusioni possono essere consultate tramite questo link.
L’immagine frontale del prodotto di cui si discute è la seguente e dagli atti di causa risulta che la quantità di Vino di Champagne nel prodotto era (probabilmente, è) il 12%.
Le norme rilevanti – e nessuna di esse appartenente al diritto dei marchi in senso stretto – sono due: il Regolamento UE n. 1308/2013 sull’etichettatura dei vini[1] e la Direttiva UE sulla pubblicità, l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari[2].
A tali due blocchi di norme vanno poi aggiunte le Osservazioni della Commissione UE in materia[3] che non hanno carattere vincolante ma che – anche a giudizio dell’Avvocato Generale Sanchez-Bordona – colgono il corretto bilanciamento dei diritti delle parti.
Di fatto, dice la Commissione e sembra confermare l’Avvocato Generale, le condizioni da accertare sono tre:
Chissà cosa deciderà la Corte, o meglio, quali indicazioni darà al giudice tedesco che gli ha chiesto l’interpretazione pregiudiziale?
Nel mentre, potremmo iniziare a farci più domande o leggere meglio le etichette dei prodotti.
[1] Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 (GU 2013, L 347, pag. 671).
[2] Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU 2000, L 109, pag. 29).
[3] Comunicazione della Commissione (GU 2010, C 341, pag. 3).