Death becomes HER: Scarlett Johansson pronta alla battaglia contro OpenAI

Voce artificiale assistente vocale

Scarlett Johansson non è parte degli Avengers soltanto sul grande schermo, ma ha dimostrato in più di un’occasione di non tirarsi indietro anche dinanzi alle battaglie quotidiane. Di recente, infatti, è stata resa disponibile alla stampa una dichiarazione in cui l’attrice newyorchese si afferma “scioccata, adirata e incredula” in merito al fatto che Sky, il nuovo strumento vocale di OpenAI riproduca una voce così simile alla propria, addirittura da non poter essere distinta nemmeno dagli amici più stretti.

Johansson ricorda come, nel mese di settembre 2023, Sam Altman, CEO di OpenAI, l’abbia contattata con la proposta di fornire la propria voce per lo sviluppo della funzionalità vocale da lanciare sul sistema ChatGPT 4.0. Tuttavia, l’attrice ha declinato l’offerta. Nonostante ciò, la società ha reiterato la proposta due giorni prima del rilascio della versione demo di Sky, senza fornire al team di Johansson il tempo di, eventualmente, riconsiderare l’argomento. Di conseguenza, non soltanto nessuna relazione contrattuale è stata instaurata fra l’attrice e la società californiana, bensì la similarità fra la voce dell’artista e quella del sistema sembra essere stata, comunque, ricercata intenzionalmente dagli sviluppatori indipendentemente dal consenso di quest’ultima. Tale decisione pare essere evidente dalla scelta della strategia di marketing approntata da OpenAI: qualche giorno prima del lancio dell’aggiornamento, lo stesso Altman ha pubblicato sul social media “X” un post con una sola parola “her”. Questo vocabolo non rappresenta soltanto il pronome personale “lei” in lingua inglese, ma anche il nome di un celebre film del 2013 diretto da Spike Jonze, vincitore di un Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Il protagonista della pellicola, interpretato da Joaquin Phoenix, intrecciava una relazione con un sistema operativo, al quale prestava la voce proprio Scarlett Johansson.

In risposta alle parole dell’attrice, Altman ha affermato che “la voce di Sky non è quella di Scarlett Johansson e non vi è mai stata l’intenzione di creare una somiglianza fra le due, precisando, inoltre, come la voce del sistema appartenga ad un attore di cui, però, la società si è rifiutata di condividere i dettagli, citando la corrente normativa privacy. In ogni caso, insieme al dispiacere espresso nei confronti dell’artista statunitense in merito alle comunicazioni intrattenute, OpenAI si è premurata di sospendere temporaneamente la disponibilità relativa all’aggiornamento di Sky, al fine di affrontare le domande rispetto alle modalità di scelta delle voci utilizzate in ChatGPT e, dunque, anche per replicare alle richieste di trasparenza incluse nella nota dell’attrice.

Il caso di specie, tuttavia, non è l’unico in cui la società è stata oggetto di domande in merito sia delle modalità di allenamento dei sistemi proposti sul mercato sia dei dati utilizzati nella medesima attività. Attualmente risulta ancora aperta la più celebre delle dispute che vedono OpenAI nel ruolo di convenuta: alla fine del 2023, il New York Times ha proposto un’azione legale lamentando l’illecito uso degli articoli dei propri giornalisti per il training dei sistemi mentre, nella memoria depositata a fine febbraio, la società ha contestato le modalità con cui l’attore ha acquisito gli elementi probatori proposti dinanzi alla corte. Qualche tempo prima, anche un gruppo di scrittori, fra cui celebri John Grisham e George R.R. Martin, insieme alla relativa associazione di categoria, avevano contestato violazioni di copyright da parte dei sistemi di OpenAI.

L’intersezione di tali circostanze problematiche, ossia il training dei sistemi effettuato su dataset di cui non si conoscono i contenuti, insieme al sempre maggior grado di dettaglio nella somiglianza fra output dell’intelligenza artificiale ed elementi umani, tra cui non soltanto lo stile di scrittura, ma altresì il timbro di voce, crea un alveare di questioni giuridiche sempre più difficile da esaminare. La voce costituisce, infatti, uno dei tratti identificativi di massimo livello per la persona fisica e, dunque, risulta parte fondamentale dell’identità dell’individuo. Proprio su tale assunto, peraltro, si è basata la negoziazione serrata tra interpreti e case di produzione nel corso degli scioperi dello scorso anno, giunta a una conclusione soltanto a seguito di quella che è stata considerata una regolamentazione adeguata sull’utilizzo della voce, il quale non può avvenire senza il previo consenso dell’attore o del doppiatore interessato.

Non è chiaro se, e in che modo, la vicenda proseguirà, ossia se, come forse probabile, si giungerà ad una transazione economica, oppure la disputa proseguirà dinanzi ai tribunali. Tuttavia, è importante ricordare le parole finali della dichiarazione di Johansson, le quali auspicano l’entrata in vigore di “una legislazione appropriata che garantisca la protezione dei diritti individuali”. Si pone, nuovamente, per i professionisti del diritto un tema più volte affrontato con il germoglio delle nuove funzionalità dei sistemi di intelligenza artificiale a cui si è assistito, in tempo reale, nei mesi passati. Ci si chiede, infatti, se la normativa attualmente vigente in tema non soltanto di protezione dei diritti personalissimi, ma, anche dei diritti di proprietà intellettuale, sia sufficiente a fornire il grado di tutela a cui gli individui aspirano. Il dubbio, infatti, consiste nel cercare di comprendere se un’interpretazione evolutiva di norme scritte decenni fa basti ad ottenere l’obiettivo oppure se un nuovo set di previsioni legislative sia necessario. Un tema che si allarga se ci si muove dai contenuti alla prospettiva geografica, dato che attualmente il maggior sforzo di regolamentazione dell’intelligenza artificiale ha una spinta decisamente eurocentrica, mentre occorrerebbe, forse, una visione congiunta data dalla natura dei rischi che si è attualmente – e ancor più si sarà in futuro – chiamati a dover fronteggiare.

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