Le due facce di Galliano al Met Gala: riflettori sui diritti dei designers

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Sin dal 1948, il “primo lunedì di maggio” segna un appuntamento imprescindibile per tutti gli addetti ai lavori e gli appassionati di moda che puntano la propria attenzione sulla celeberrima scalinata del Metropolitan Museum of Art di New York per l’evento noto come Met Gala o MET Ball. Si tratta dell’evento annuale di raccolta fondi per il Costume Institute della medesima istituzione culturale, che, alla presenza di una molteplicità di celebrities, apre le danze per la mostra che, dal 2006, è curata dal britannico Andrew Bolton. Nel 2024, l’esposizione intitolata “Sleeping Beauty: Reawakening of Fashion” è stata inaugurata dall’evento il cui tema è stato ispirato dalla novella di J.G. Ballard intitolata “The Garden of Time”.

Duecentocinquanta sono gli abiti che i visitatori del Met potranno apprezzare dal 10 maggio al 2 settembre 2024, accomunati dalla caratteristica di essere stati realizzati con materiali e procedimenti tali da renderli così fragili da non poter più essere indossati. Tale fil rouge ha guidato le scelte dei VIP che hanno sfilato dinanzi agli occhi del mondo, tra cui si è distinta la modella Kendall Jenner che ha dichiarato di essere stata il primo essere umano a indossare un abito Givenchy disegnato da Alexander McQueen per la collezione Haute Couture autunno inverno 1999. Il dibattito sui social si è poi infiammato per la scoperta, da parte degli utenti, di un servizio fotografico per Flaunt Magazine con protagonista l’attrice Winona Ryder che pareva indossare il medesimo abito proprio nel 1999. Tuttavia, sembra che quello utilizzato nel corso dello shooting fosse una semplice replica.

Il caso Jenner non è, però, stato l’unico a catturare l’attenzione degli utenti. Zendaya, chair della serata insieme a Jennifer Lopez, Bad Bunny e Chris Hemsworth, ha proposto ben due cambi d’abito, entrambi firmati dallo stilista John Galliano. Il primo, in particolare, ha condotto una molteplicità di utenti indietro nel tempo, in particolare nella finestra temporale tra il 1996 e il 2011, quando il fashion designer britannico ha prestato il proprio estro al servizio di Dior. Tuttavia, la deduzione non si è rivelata corretta, dato che Maison Margiela ha immediatamente pubblicato sui propri canali social le immagini dell’attrice statunitense fasciata in un “Maison Margiela Artisanal by John Galliano”.

Le similarità tra l’abito, di colore blu e verde smeraldo, in lamé, organza e raso, tagliato di sbieco e un modello proposto dallo stesso Galliano per la collezione Couture primavera estate 1999 di Dior sono evidenti e, con tutta probabilità, intenzionali. Allo stesso modo, anche un occhio non particolarmente attento ha potuto notare i punti in comune fra l’abito indossato da Kim Kardashian e una creazione della collezione Couture autunno inverno di Dior del 1997.

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Occorre ricordare che, mentre Christian Dior SE è parte del gruppo LVMH di Bernard Arnault, Maison Margiela è inclusa in “Only The Brave” dell’italiano Renzo Rosso. La possibilità, per uno stilista, di riproporre ben più delle linee essenziali di un modello confezionato da due differenti case di moda, peraltro appartenenti a gruppi diversi, a distanza di tempo, porta al fiorire di una serie di domande. La prima che emerge riguarda la titolarità dei diritti d’autore sull’abito, un tema che, nella prassi commerciale dei rapporti fra direttori creativi e case di moda, viene stabilita a livello contrattuale, in accordi che, nel settore lusso, sono molto spesso accompagnati da stringenti clausole di riservatezza. È possibile, quindi, soltanto proporre ipotesi, nell’attesa che, un giorno, siano i medesimi protagonisti a decidere di portare chiarezza.

Particolarmente rilevante è anche il Paese alla cui legge si sceglie di sottoporre l’accordo. Infatti, tanto nella legislazione relativa al diritto d’autore statunitense quanto nel diritto anglosassone, si è diffusa la definizione – e la conseguente dottrina – del “work-for-hire”, ossia l’eccezione più rilevante all’applicazione del principio generale secondo cui i diritti morali e di sfruttamento economico relativi ad un’opera creativa sono attribuiti all’autore della stessa. Secondo tale disciplina, infatti, nel caso in cui l’opera sia il risultato della “performance” di un dipendente nell’esecuzione delle proprie mansioni o derivi da un contributo specifico inserito all’interno di un’opera collettiva, la titolarità dei diritti d’autore sulla stessa sarà automaticamente assegnata al datore di lavoro o a colui che ha commissionato la realizzazione dell’opera. Sebbene, inizialmente, venisse richiesto un accordo scritto che definisse in maniera esplicita la volontà di entrambe le parti di sottoporsi a tale inquadramento contrattuale, la giurisprudenza della Corte Suprema statunitense ha successivamente stabilito quello che viene identificato come il test di “richiesta e spesa”: in particolare, nella decisione sul caso Marvel Character, Inc. v. Kirby emessa dalla Corte di Appello del Secondo Circuito l’8 agosto 2013, si è affermato come un’opera risulti su richiesta e a spese del datore di lavoro nel momento in cui quest’ultimo induce la creazione e ha il diritto di dirigere e supervisionare la maniera in cui si svolge il processo di realizzazione.

Nel caso in cui le creazioni di Galliano per Dior rientrino nella categoria del work-for-hire, con la conseguenza che i diritti di proprietà intellettuale sulle stesse siano stati attribuiti a Dior, si creerebbe, dunque, una situazione fattualmente paradossale, ma legalmente possibile, per la quale l’abito indossato da Zendaya nella serata di lunedì sarebbe in violazione dei diritti di copyright di Dior su un abito disegnato dallo stesso Galliano. Si tratterebbe di un esempio evidente di come un’accurata negoziazione contrattuale sia necessaria per la tutela dei creativi, i quali, spesso, sono spinti da esigenze contingenti a spogliarsi dei propri diritti pur di ottenere ruoli, posizioni ed incarichi.

Peraltro, sebbene nessuna reazione da parte di Dior sia ancora stata diffusa, occorre ricordare come la collaborazione fra la maison e il designer sia già stata oggetto di procedimenti giudiziari. In particolare, si ricorda come sulle stesse vicende conclusive del rapporto fra la società e Galliano sia stata riconosciuta la competenza della sezione lavoro del Tribunale di Parigi, alla quale quest’ultimo si era rivolto lamentando il licenziamento senza giusta causa, mentre, secondo la posizione di Dior, la complessità dei legami avrebbe dovuto condurre dinanzi alla sezione imprese. Nonostante il successo in tema di competenza, l’azione – e la connessa richiesta di risarcimento danni – era, però, stata successivamente rigettata.

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