Il 17 luglio si è celebrata la Giornata Internazionale delle Emoji, ossia il metodo di comunicare che tutti, più o meno frequentemente, adottiamo nella comunicazione quotidiana tramite messaggi e social media. Recentemente, proprio tale argomento è stato oggetto di analisi da parte dell’Ufficio per la Proprietà Intellettuale dell’Unione Europea (EUIPO), quando alla Commissione dei Ricorsi è stato assegnato il compito di decidere in merito alla registrabilità, come marchio dell’Unione Europea, dell’emoji raffigurante il gesto della mano avente il significato di “ti amo”.
Tale caso ha sollevato una questione affascinante: se un’emoji possa essere considerata abbastanza distintiva in maniera tale da ricoprire efficacemente la funzione di marchio o se, al contrario, sia semplicemente percepita come un messaggio pubblicitario generico. Con la decisione del 1° giugno 2023 relativa al caso R 2305/2022-2, la Seconda Sezione della Commissione dei Ricorsi dell’EUIPO ha confermato il giudizio dell’Esaminatore dell’Ufficio europeo, il quale aveva sollevato un’obiezione alla registrabilità della domanda di marchio dell’Unione Europea n. 018622650 per il segno qui riportato, sulla base della mancata distintività di tale segno agli occhi del pubblico di riferimento.
La vicenda ha origine il 16 dicembre 2021, quando la società tedesca Kaselow Holding GmbH deposita dinanzi all’EUIPO la citata domanda di marchio figurativo per il segno di cui sopra, con rivendica di servizi in classe 36 (in particolare, servizi immobiliari e finanziari) e in classe 37 (in particolare, servizi nel settore dell’edilizia e delle pulizie) della Classificazione di Nizza.Tuttavia, l’iter di registrazione è stato bloccato già in fase di esame, con l’obiezione sollevata sulla base dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b) del cosiddetto Regolamento Marchi dell’Unione europea (RMUE): tale previsione ha l’obiettivo di assicurare che il consumatore o l’utente finale sia in grado di distinguere chiaramente un prodotto o un servizio offerto da un soggetto rispetto ad altri proposti da soggetti diversi, evitando, dunque, il rischio di confusione. Secondo il ragionamento dell’Ufficio, dunque, il consumatore medio, compreso quello esperto, percepirebbe il segno oggetto della domanda semplicemente come una “emoticon”, ossia un simbolo grafico che trasmette un’emozione positiva. Il segno in questione raffigura in modo realistico un gesto della mano con pollice, indice e mignolo alzati, mentre medio e anulare sono curvati, riconosciuto ufficialmente dalla lingua dei segni americana (ASL) il cui uso, nel corso del tempo, si è espanso a livello globale con il significato di “ti amo”. Seppur generalmente rappresentato con la mano destra, è soggetto anche a varianti che mostrano una mano sinistra (con il pollice alla sinistra di chi osserva).
Questa analisi si allinea alla giurisprudenza consolidata, la quale riconosce l’ampio utilizzo di pittogrammi, emblemi e “faccine” sia nella pubblicità sia nella comunicazione personale per esprimere emozioni positive come gioia, consenso, entusiasmo o felicità. Dato l’ampio spettro di contesti in cui questi simboli sono impiegati per trasmettere messaggi positivi, il consumatore di riferimento tenderebbe a percepirli come elementi decorativi o come messaggi pubblicitari generici, senza una specifica correlazione con un particolare tipo di prodotto o servizio. In sintesi, tali forme semplici non sono idonee a indicare l’origine di prodotti o servizi in una specifica impresa.
Nel caso di specie, rileva una considerazione importante: il principio di interesse pubblico sotteso all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b) RMUE e la funzione primaria di un marchio – che è, appunto, quella di consentire all’utente di riconoscere chiaramente l’origine del prodotto o del servizio contrassegnato – sono inseparabili. È, infatti, di interesse pubblico impedire la concessione di diritti esclusivi su segni che non possono svolgere efficacemente il ruolo fondamentale di identificare l’origine specifica di un prodotto o servizio. Il divieto assoluto di registrazione stabilito nell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b) RMUE è posto per assicurare che il consumatore o l’utente finale siano in grado di distinguere chiaramente un prodotto o servizio da altri di provenienza diversa, senza alcun rischio di confusione. Di conseguenza, un marchio deve essere capace di indicare inequivocabilmente l’origine di un prodotto o servizio in una specifica impresa, permettendo così di distinguerlo facilmente da prodotti o servizi simili offerti da altre aziende.
A tale prospettiva si è contrapposta la posizione del titolare che si è rivolto alla Commissione dei Ricorsi chiedendo l’annullamento della decisione impugnata e, dunque, il proseguimento dell’iter di registrazione della propria domanda.
Tra gli argomenti a sostegno della propria posizione, la società tedesca ha affermato che il segno oggetto della domanda avesse carattere distintivo, che tale segno non dovesse essere qualificato come emoticon o pittogramma, ma presentasse caratteristiche in grado di distinguerlo in maniera efficace dalle generiche “faccine” della comunicazione quotidiana. Il titolare ha, inoltre, sostenuto che il segno oggetto della domanda non consistesse nella rappresentazione di un gesto specifico – e, in particolare non equivalesse al simbolo della Lingua dei Segni Americana (ASL) –, bensì in una mera rappresentazione grafica, sottolineando che esso mostrasse chiaramente una mano sinistra, mentre secondo l’ASL il segno è caratterizzato da una mano destra. In aggiunta, il titolare ha evidenziato che il segno “Ti amo” con le caratteristiche ricordate fosse specifico della ASL, ma non comune a tutte le altre lingue dei segni, tale per cui tale segno non sarebbe facilmente comprensibile per il pubblico di riferimento, ossia il pubblico dei Paesi membri dell’Unione Europea.
La Commissione dei Ricorsi ha, invece, affermato che il pubblico di riferimento collegherebbe il gesto specifico al significato di “ti amo“. Che il gesto venga eseguito con la mano destra o sinistra non è rilevante; infatti, nemmeno l’uso della mano sinistra conferisce distintività al segno. La medesima conclusione deve essere raggiunta con riferimento a tutte le altre differenze menzionate dalla ricorrente, come le proporzioni e il colore della mano.
La Commissione dei Ricorsi pone l’attenzione, inoltre, sul fatto che, di norma, le emoji servano a fornire segnali emotivi che mancano nell’intrattenimento animato, agendo come un linguaggio parallelo che trasmette significati sottili e facilita l’espressione delle emozioni. Sono spesso legate a una comunicazione positiva e, per tale ragione, generalmente non sono considerate come indicative di origine. Tale approccio è in linea con la giurisprudenza, che afferma che, al fine di dimostrare l’assenza di carattere distintivo, è sufficiente che il segno comunichi solo un messaggio pubblicitario astratto e venga percepito principalmente come uno slogan promozionale, anziché come un’indicazione dell’origine del prodotto o del servizio.
Dunque, si conclude che, in relazione ai servizi rivendicati, ovvero i servizi finanziari in classe 36 e i servizi di pulizia di edifici in classe 37, il segno contestato verrebbe percepito come un generico messaggio pubblicitario che suggerisce che i clienti saranno particolarmente soddisfatti dei servizi offerti tramite tale marchio, interpretando il segno oggetto della domanda di marchio come una connotazione positiva generale, sia come un’attrattiva decorativa, sia come una generica dichiarazione di apprezzamento e incentivo all’acquisto. Di conseguenza, viene confermata la decisione di negare la registrazione. La vicenda descritta presenta una molteplicità di piani di interesse e, in particolare ben esemplifica come le modifiche nelle modalità comunicative fra gli esseri umani abbiano riflessi anche ad ampio raggio in un ventaglio di situazioni e contesti differenti, incluso quello della proprietà intellettuale e industriale.