Il caso Iceland Foods Ltd v. EUIPO

Il caso Iceland Foods Ltd v. EUIPO

Il nome di uno Stato non è in vendita (come supermercato)

Si è momentaneamente conclusa una saga di più di vent’anni che ha visto contrapporsi, dinanzi all’Ufficio per la Proprietà Intellettuale dell’Unione Europea (EUIPO), da un lato, una catena di supermercati gallese e, dall’altro, la Repubblica di Islanda.

La vicenda ha avuto inizio nel 2015, quando Iceland Foods Ltd, catena di supermercati diffusa nel Regno Unito e in Irlanda, ha depositato opposizione nei confronti della domanda di marchio dell’Unione Europea n. 014350094 di titolarità di Íslandsstofa, ente di promozione del turismo dell’isola.

Inspiredbyiceland domanda di marchio dell’Unione Europea n. 014350094
domanda di marchio dell’Unione Europea n. 014350094

A seguito di ciò, la medesima entità, insieme al Ministero per gli Affari Esteri islandese e a SA – Business Island, ha depositato azione di invalidazione sia nei confronti della registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 002673374 per il segno denominativo “ICELAND” datata 2002 con rivendica di prodotti e servizi nelle classi 7, 11, 16, 29, 30, 31, 32 e 35 sia nei confronti della registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 1274545 depositata nel 2013, con rivendica di prodotti e servizi nelle classi 29, 30 e 35.

registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 1274545

Con riferimento alla prima delle due azioni, la Divisione Annullamento dell’Ufficio, in data 5 aprile 2019, aveva dichiarato la nullità della registrazione n. 002673374 sulla base dell’applicazione congiunta dell’articolo 59, paragrafo 1, lettera a) e dell’articolo 7, paragrafo 1, lettere b), c) e g) del Regolamento Marchi dell’Unione Europea (Regolamento (UE) n. 1001/2017). Infatti, nella prospettiva dell’Ufficio, il consumatore di riferimento avrebbe, in primis, compreso la parola inglese oggetto di tutela tramite la domanda (poi registrazione) come riferimento alla Repubblica islandese, dal momento che la stessa, già all’atto del deposito della domanda (poi registrazione) contestata era considerata una meta turistica popolare, con un’immagine positiva costruita sulle bellezze naturali. In aggiunta a ciò, alcuni dei beni rivendicati dalla domanda (poi registrazione) rientravano fra quelli prodotti in Islanda e successivamente esportati, mentre altri avrebbero potuto essere prodotti in tale Paese in un momento futuro. In relazione, invece, al tema della distintività acquisita proposto dalla titolare della registrazione, l’Ufficio rilevava che il materiale documentale fornito era ritenuto sufficiente per, quantomeno, una parte significativa del pubblico di riferimento nel Regno Unito e in Irlanda, ma non, invece, in altri Paesi in cui i consumatori erano, comunque, in grado di comprendere il significato di “Iceland” come “Islanda”, quali Svezia, Danimarca, Paesi Bassi e Finlandia.

La Prima Commissione dei Ricorsi, competente per il caso R 1238/2019-1, aveva deferito il caso alla Commissione Allargata che, dopo una fase di trattazione orale, ha emesso la propria decisione in data 15 dicembre 2022. È utile osservare che hanno presentato le proprie osservazioni in relazione al caso di specie anche enti terzi, tra cui l’associazione delle pescherie islandesi, l’associazione svizzera contro l’uso non appropriato delle indicazioni di origine svizzere e l’International Trademark Association (INTA). Quest’ultima, in particolare, ha ricordato che i principi fondamentali del diritto internazionale pubblico non riconoscono un diritto esclusivo degli Stati rispetto ai termini geografici, in cui sono inclusi i nomi dei suddetti Stati. Infatti, in conformità sia alla Convenzione di Parigi sia agli Accordi TRIPS, ad essere tutelati sono, da un lato, i nomi delle organizzazioni internazionali e, dall’altro lato, emblemi e simboli ufficiali, mentre i nomi dei Paesi risultano registrabili in ogni circostanza in cui gli stessi siano distintivi. In conseguenza di ciò, l’INTA ha sottolineato che, ai fini della decisione, fosse necessaria una valutazione dettagliata e realistica di ciascuno dei prodotti e dei servizi rivendicati, ai fini della valutazione, o meno, della distintività del segno “ICELAND” in relazione agli stessi.

La Commissione Allargata ha specificato, al paragrafo 97 della propria decisione, che l’interesse pubblico è intrinsecamente legato all’ordine pubblico e, sebbene attualmente nell’Unione Europea non sembri esistere un divieto di registrazione dei nomi di Paesi come marchi, è comunque possibile chiedersi se, indipendentemente dai prodotti o servizi in questione, sia nell’interesse pubblico consentire la monopolizzazione dei nomi degli Stati Membri dell’Unione e dello Spazio Economico Europeo, i quali sono luoghi geografici altamente noti al pubblico europeo di riferimento. In conseguenza di ciò, l’interesse pubblico sotteso all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c) RMUE è la necessità di mantenere la libera disponibilità di taluni marchi, affinché altri operatori ne possano fare uso anche come marchi collettivi o nell’ambito di marchi complessi o grafici; tale interesse dovrebbe, quindi, essere interpretato nel senso di filtrare correttamente le circostanze in cui tali segni restano di pubblico dominio anziché permettere di appropriarsene attraverso la registrazione. Il percorso logico da seguire è, dunque, il seguente: quando un segno è costituito da un nome geografico, l’EUIPO o, altresì, chi richiede l’annullamento della registrazione, è tenuto a dimostrare preliminarmente che il nome geografico è conosciuto dagli ambienti interessati come designazione di un luogo; poi, occorre determinare se tale nome suggerisca un’associazione attuale, nella mente del pubblico destinatario della categoria di prodotti o servizi in questione, o, in alternativa, se sia ragionevole presumere che tale nome possa, a detta di tali persone, designare la provenienza geografica di tale categoria di prodotti o servizi.

Sulla base di quanto sopra, la Commissione Allargata ha confermato la decisione precedente e la titolare della registrazione ha proposto appello al Tribunale del Lussemburgo che ha emesso la propria sentenza basandosi su un approccio che tiene conto di un insieme di circostanze: sia quelle presenti alla data della domanda (che, si ricorda, essere il 2002), poi divenuta registrazione, sia attuando un approccio in prospettiva, non limitandosi alla sola questione della «notorietà» di cui godeva l’Islanda presso il pubblico di riferimento, o di cui essa avrebbe potuto godere in futuro, in relazione ai prodotti e ai servizi rivendicati. Per tali ragioni, il Tribunale afferma che la Commissione Allargata ha correttamente considerato la prosperità economica dell’Islanda, compresa la valutazione del prodotto interno lordo, della manodopera qualificata o, ancora, della presenza di industrie diverse, dal momento che tali criteri potevano consentire di stabilire se l’Islanda potesse divenire conosciuta o rinomata come luogo di provenienza geografica per i prodotti e i servizi di cui trattasi.

È stato ritenuto da molti esperti che la decisione del Tribunale, così come altre emesse nel corso dell’anno solare 2025, non abbiano fornito le risposte nette che la parti desideravano, favorendo un approccio caso per caso che rende l’intero sistema della tutela dei marchi all’interno dell’Unione Europea, da un lato, ancorato alla propria tradizione e, dall’altro, ben lontano dal grado di stabilità che potrebbe essere atteso nel contesto di uno scenario che appare cristallizzato nel tempo.

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